L’ultimo numero di Uzak, rivista trimestrale di cinema (23/VI, 2016), ospita un intervento di Simone Arcagni in dialogo con Action30.
In Appunti sparsi per un progetto postmediale. Note su Action30, Arcagni – studioso di cinema, nuovi media e nuove tecnologie, autore del recente Visioni digitali. Video, Web e nuove tecnologie (Einaudi 2016) – interroga i punti nodali del lavoro di Action30 (l’eterogeneo, il montaggio, il performativo, il rapporto tra sensi e medialità, il gioco di archivio, finzione e realtà…) riproducendone in un certo senso la metodologia, ossia smontando e rimontando i dossier di ricerca del collettivo in una logica rizomatica, lontana da qualsivoglia volontà di catalogazione e gerarchizzazione.
Il ricercatore rizomatico di Action30, in effetti, lavora come l’etnografo di James Clifford o come lo chiffonnier del Passagenarbeit di Walter Benjamin. Procede cioè come un segugio, con il naso puntato verso la terra e non verso il cielo, provando a strappare gli oggetti trovati sul proprio cammino alle pratiche istituite di classificazione e gerarchizzazione della realtà, quelle con cui tutti noi, giorno per giorno, pensiamo e giudichiamo cose, esseri e persone, agendo di conseguenza. Classificazioni e gerarchizzazioni che, sedimentandosi nell’inconscio collettivo, danno vita, secondo Benjamin, alle “fantasmagorie” della modernità: quelle forme oniriche e tuttavia concrete (giacché hanno degli effetti tangibili nelle nostre vite quotidiane) di sublimazione idealistica della realtà e dei rapporti di potere ad essa soggiacenti.
I segni, la ricerca e il testo scritto, le immagini, le azioni, le visioni e le sensazioni non sono lì proprio per aiutarci a smontare e rimontare, rigiocandole a nostro favore, le fantasmagorie della medialità contemporanea?