Ieri ho finalmente visto “Lui è tornato” (“Es ist wieder da”), film del 2015 di David Wnendt, girato sull’onda del successo dell’omonimo romanzo di Timur Vermes pubblicato nel 2012.
La storia? Siamo nel terzo millennio e Adolf Hitler si risveglia vivo e vegeto, anche se con la divisa un po’ bruciacchiata, in un giardino berlinese, proprio là dove, settant’anni addietro, c’era quel bunker dal quale si dice che non sia mai uscito vivo. “Lui”, la Guida, è risorto proprio come narrano le mitologie conservatrici: il Führer, al pari di Federico III, imperatore a venire, si risveglierà un giorno dal sonno decennale della storia per portare il suo Schicksal, il suo destino, la rivoluzione, nelle nostre molli vite di cittadini della Gleichschaltung liberal-democratica. Ancora una volta.
Le cose stanno però un po’ diversamente. Ma giusto un po’. Non troppo diversamente.
Un giornalista freelance precario e non troppo geniale lo nota e lo porta in giro per la Germania a fare un’inchiesta sullo stato del paese. Il Führer, in abito nero e camicia bianca, ascolta la gente con estrema attenzione. Presta l’orecchio ai rumori provenienti dalla pancia del paese: gli immigrati, la confusione delle razze, la corruzione dei politici – solo i Verdi gli sembrano andare a genio, con il loro attaccamento postumano, troppo postumano, alla natura, alla terra e al suolo, agli animali…
Promette di sistemare le cose. Diventa una star della televisione, tutti lo vogliono, tutti lo amano e vogliono farsi dei selfie con lui quando lo incontrano per strada. Il vecchio fascismo incrocia quello “nuovo”, insomma, l’uniforme si incontra con l’anima (si tratta di un tipo di incontro che Action30 ha provato a mettere a fuoco in un libro del 2009, dunque in tempi abbastanza non sospetti). “Lui” fa ridere, sta simpatico alla gente e soprattutto ai giovani, desta ben poca indignazione e poi è così corretto, non dice una parola degli ebrei…è che la politica, confessa a un certo punto, impone sempre delle “priorità”. Il pubblico lo acclama e lo considera un grande comico – il migliore tra gli Hitler della televisione e del cinema, se non una specie di meta-Hitler, viene da pensare vedendo una scena del film che sembra operare un détournement, pop e comico, di una celebre sequenza di Hitler, ein Film aus Deutschland di Syberberg (1977); uno che scherza talmente bene che lo scherzo, alla fine, diventa serio. Uno che impersona in maniera talmente rigorosa la figura del Führer da sembrare per davvero lui.
Ed ecco il punto: “lui” è o non è il Führer, quello autentico ? Nella finzione del film – che poi finzione non è del tutto, visto che molte scene sono state girate nello stile del reportage con persone vere e reazioni autentiche – quell’uomo con i baffetti è davvero Adolf Hitler. “Lui” si è davvero risvegliato in un giardino berlinese del 2015. “Lui” ha davvero girovagato per le strade della Berlino del terzo millennio cercando la porta del suo bunker. “Lui” ha davvero dovuto realizzare che i tedeschi di questo strano mondo parallelo non sono più quelli che conosceva lui, i bravi Volksdeutschen di una volta, obbedienti, conformisti, delatori (e terrorizzati) come i berlinesi di Ognuno muore solo di Hans Fallada (ma sarà per davvero così, poi? Non bisogna forse cominciare a pensare che certe funzioni sociali, certi operatori del fascismo come il conformismo e la chiacchiera possono assumere un volto diverso nelle nostre società pur conservando il loro potenziale distruttivo?).
Eppure nessuno sa che questo Hitler è davvero Hitler. Tutti pensano che quest’uomo con i baffetti e la parlantina sia solo uno di quegli attori che va fino in fondo al ruolo, che abita costantemente il suo personaggio facendo corpo con lui anche nella vita privata. O al limite un fulminato, un pazzo, un posseduto, una sorta di scemo del villaggio mediaticamente molto efficace. Tutto ma non il vero Führer.
“Mi dica la verità – chiede la direttrice di rete che lo ha ingaggiato –, lei ha qualche trascorso politico in partiti dell’estrema destra?”. “Ma certo, anzi, io l’ho proprio fondato, un partito” – risponde alla donna già pallida in volto – “L’ho fondato nel 1919”. Lei tira un sospiro di sollievo e scoppia a ridere.
Da abile seduttore ed esperto di comunicazione qual è, Hitler riesce a giocare a suo favore lo statuto di finzione e comicità in cui è relegata la sua figura pubblica per conferire a quest’ultima una effettività, una efficacia mediatica indubitabile. Il Führer diventa insomma una finzione vera, talmente vera che in fondo chiedersi se lui sia il vero Adolf Hitler o no per noi non ha più alcuna importanza. Come direbbe un certo filosofo pragmatista, ciò che conta sono gli effetti concreti del ritorno di quest’uomo nella vita delle persone, le conseguenze tangibili del ritorno del fascismo nel presente. Ma anche il gioco analogico che questo ritorno ci invita a pensare se vogliamo operare uno sguardo critico sulla nostra società.
Tutto il film – che vale la pena di vedere in versione originale per apprezzare fino in fondo il lavoro di incorporazione linguistica del personaggio fatto dall’attore Oliver Masucci – è in effetti costruito su un meccanismo analogico, un gioco di rimandi e mises en abyme tra passato e presente, tra realtà e finzione, che invita lo spettatore a farsi una serie di domande su cosa possa significare la riattivazione implicita di una vera e propria koiné razzista e fascista che si è consolidata in varie forme, nel corso degli ultimi anni – senza neanche l’ausilio di un vero e proprio Führer, tra l’altro – nella mentalità collettiva di noi bravi europei – ma non solo. In questo gioco di analogie, il film di Wnendt non ci fa pensare soltanto al ritorno del vecchio fascismo ai margini della politica contemporanea, a quello che Pasolini aveva definito il “fascismo archeologico” dei neo-fascisti; ma anche a quelle nuove forme di fascismo che si riproducono negli interstizi delle nostre società e che spesso sono il risultato di un montaggio fitto fitto di vecchie idee e nuove forme di pensiero ed azione. Di fronte a questo montaggio talmente fitto e dissimulato di microfascismi, spesso ci mancano gli strumenti cognitivi, prima ancora che etici e politici, per individuare e comprendere le poste in gioco della politica contemporanea.
Lui è tornato è un piccolo ed efficace (ma anche divertente) pharmakon che ci fa tornare la memoria e “aggiusta” la nostra cognizione sulla realtà, aiutandoci a stanare i nuovi fascismi e ad armarsi contro di essi.
Alessandro Manna